Dipendenze patologiche Studio di psicologia musacchia

La problematica delle dipendenze patologiche è di costante attualità e in continua evoluzione, ne è
una prova la modifica di uno scenario che non è più occupato solamente dall’uso e abuso di
sostanze, ma che è caratterizzato da una sempre maggiore rilevanza delle dipendenze
comportamentali, in primis il gioco d’azzardo patologico.
Per poter spiegare meglio il concetto di dipendenza patologica dobbiamo innanzitutto fare una
precisazione del concetto stesso di Dipendenza. A questo termine si attribuisce, generalmente, un
connotato essenzialmente negativo, degradante e problematico. In realtà esiste una forma sana di
dipendenza, che si costruisce a partire dai primissimi scambi corporeo-affettivi tra madre e
bambino.
La dipendenza patologica è una malattia, fenomeno complesso multifattoriale che rimanda ad
aspetti bio-psico-socio-relazionali. Il ricorso alle sostanze è il risultato di un intreccio di fattori:
biologici, cognitivi, motivazionali e di personalità, nonché sociali e situazionali ed è fortemente
invalidante per il soggetto, con conseguenze gravi per la salute fisica e psichica.
Vi può essere una dipendenza da sostanza, dove l’oggetto di dipendenza è una sostanza stupefacente
su cui il soggetto perde completamente il controllo. E la dipendenza senza sostanza (le così dette
dipendenze comportamentali) che hanno come oggetto della dipendenza un comportamento o
un’attività lecita, e spesso socialmente accettata come il sesso, lavoro, internet, gioco d’azzardo.
Addictions e dependence: un chiarimento terminologico
Il fenomeno della dipendenza è molto complesso, esso racchiude diversi aspetti che riguardano il
comportamento dell’individuo, i vissuti, i significati psicologici e le conseguenze che ne derivano
da tale esperienza. Una definizione di dipendenza, molto ricca di significato, ci viene fornita da
Rigliano, il quale sostiene che “ la dipendenza è ciò che risulta tra il potere che la sostanza ha in
potenza e il potere che quella persona è disposta ad attribuire alla sostanza” (Rigliano, 1998,
pag.40).
L’addiction è “una malattia cronica ad andamento recidivante” (Tagliamonte, 1998).
Etimologicamente il termine inglese addiction deriva dal latino “addictus”, che nell’antica Roma
veniva utilizzato per indicare lo schiavo o il servitore che diveniva tale per pagare i debiti, la cui
condizione durava fino all’estinzione del debito (Enna S.,J., 2000).
Il termine addiction viene frequentemente utilizzato per designare comportamenti pervasivi e
pericolosi per l’individuo che li mette in atto; esso sta ad indicare uno stato di malattia che
comporta delle modificazioni tali da dar luogo a sintomi somatici, comportamentali, cognitivi e
affettivi, così da compromettere gravemente la qualità di vita dell’individuo.
Esistono forme di addictions non chimica, ovvero riferite ad attività comportamentali; e forme di
addictions chimica, da sostanza d’abuso quindi le tossicodipendenze.
Elementi fondamentali e patognomici della patologia di dipendenza sono: il craving, intenso
desiderio incontrollabile di ripetere l’uso della sostanza o la messa in atto del comportamento
oggetto di dipendenza, e il drug-seeking behavior, comportamento compulsivo di ricerca della
sostanza che si mette in moto senza tener conto delle conseguenze.
Nella lingua inglese i termini addictions e dependence, che in italiano vengono tradotti con la stessa
parola, viene apportato una distinzione significativa. Maddux e Desmond (2000) sottolineano
questa differenza designando con il termine dependence una dipendenza fisica e chimica, ,mentre
con il termine addiction si definisce una condizione di dipendenza psicologica. Si può avere un
addiction senza sviluppare necessariamente una dependence, e viceversa (Shaffer, 1996).
Dipendenza da sostanze
Con l’espressione dipendenze patologiche si designa una forma morbosa dell’utilizzo distorto di
una sostanza, di un oggetto o di un comportamento, e dal bisogno irresistibile di ripetere in modo
compulsivo l’esperienza. Le droghe e i comportamenti oggetti di dipendenza hanno la capacità di
produrre nel soggetto stati di benessere soggettivo, tali da fornire motivazioni per alimentare il
comportamento dipendente. In tal senso Peele ha messo in rilievo che la dipendenza può scaturire
da una qualsiasi forte esperienza che ha la capacità di alleviare l’ansia, il dolore o altri stati mentali
negativi (Peele, 1985).
Per poter comprendere il fenomeno delle dipendenze patologiche sembra utile puntare l’attenzione
sulla relazione che si instaura tra il soggetto e l’oggetto in un contesto determinato, piuttosto che
appellarsi alle caratteristiche della sostanza che si assume o ai tratti di personalità dell’assuntore
(Rigliano, 1998; Shaffer, 1996).
A causa delle implicazioni mediche, psicologiche, sociali e della grande varietà di sostane presenti,
e comportamenti oggetti di dipendenza, non è possibile dare una definizione che sia esaustiva ed
univoca. La tossicodipendenza viene considerata come la condizione di dipendenza da una sostanza,
“dotata di un’azione farmacologica diretta sul sistema nervoso centrale in grado di influenzare
l’umore, il comportamento ed i processi cognitivi” (Pinamonti, Rossin, 2004).
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce la dipendenza come “uno stato psichico e
talvolta anche fisico risultante dall’interazione tra un organismo vivente ed una sostanza,
caratterizzata da risposte comportamentali ed altre reazioni, che includono un bisogno compulsivo
di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti
psichici e talvolta di evitare il malessere della sua deprivazione (Pigatto, 2003). Questa definizione
pone l’accento sul rapporto sostanza/oggetto ed in particolare sul desiderio dell’individuo di
sperimentare i suoi effetti percepiti come piacevoli, e di evitare situazioni spiacevoli legate al
mancato consumo della sostanza stessa (Gius, Mazzon, 1999).
Da un punto di vista comportamentale, oggi vi è la tendenza, a parlare in modo indistinto di abuso
ed uso di sostanze, ed a tal proposito è necessario fare una distinzione tra i due termini. Il termine
“uso” viene utilizzato in maniera generica, e non è una categoria diagnostica accettata al contrario
di “abuso”, il quale viene definito come la modalità patologica dell’utilizzo di una sostanza, che
implica disagi clinici significativi (DSM-IV, 1998). Le diagnosi di abuso e dipendenze da sostanze
presenti nel DSM-IV sono state fuse nella nuova edizione del DSM-5 in un unico disturbo da uso di
sostanze, misurato su un continuum da lieve a grave, i cui criteri per la diagnosi, sono stati uniti in
un unico elenco di 11 sintomi.
Criteri diagnostici per il Disturbo da Uso da Sostanze- DSM-5
Una modalità patologica d’uso della sostanza che conduce ad una compromissione clinicamente
significativa, come manifestato da almeno due delle condizioni seguenti, che si verificano entro un
periodo di 12 mesi:
1. La sostanza è spesso assunta in quantità maggiori o per periodo più prolungati rispetto.
2. Desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso della sostanza;
3. Una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza (per es.
recandosi in visita da più medici o guidando per lunghe distanze), ad assumerla (per es.,
fumando in “catena”), o a riprendersi dai suoi effetti;
4. Craving o forte desiderio o spinta all’uso della sostanza;
5. Uso ricorrente della sostanza che causa un fallimento nell’adempimento dei principali obblighi
di ruolo sul lavoro, a scuola, a casa;
6. Uso continuativo della sostanza nonostante la presenza di persistenti o ricorrenti problemi
sociali o interpersonali causati o esacerbati dagli effetti della sostanza;
7. Importanti attività sociali, lavorative o ricreative vengono abbandonate o ridotte a causa
dell’uso della sostanza;
8. Uso ricorrente della sostanza in situazioni nelle quali è fisicamente pericolosa;
9. Uso continuato della sostanza nonostante la consapevolezza di un problema persistente o
ricorrente, fisico o psicologico, che è stato probabilmente causato o esacerbato dalla sostanza;
10. Tolleranza, come definita da ciascuno dei seguenti: a) il bisogno di dosi notevolmente più
elevate della sostanza per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato; b) un effetto
notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità della sostanza;
11. Astinenza, come manifestata da ciascuno dei seguenti: a) la caratteristica sindrome di astinenza
per la sostanza (riferirsi ai Criteri A e B dei set di criteri per Astinenza dalle sostanze
specifiche); b) la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta per attenuare o evitare i
sintomi di astinenza (DSM-5, 2017, pag 563).
Behavioral addictions
Nonostante il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-5 continui a proporre una
nozione di “dipendenza” riferita principalmente all’assunzione di sostanze psicotrope, questa viene
sempre più utilizzata anche nell’inquadramento di particolari entità sincroniche derivanti dallo
sviluppo di comportamenti di assuefazione in assenza di qualsiasi sostanza. Il DSM-5 introduce per
la prima volta la sezione della behavioral addictions accanto alle dipendenze da sostanza.
Il concetto di dipendenze comportamentali, behavioral addictions, è un concetto nuovo, ed entrano
ufficialmente nell’ultima edizione del DSM-5 tramite il gioco d’azzardo patologico.
Le dipendenze comportamentali (behavor addictions) sono condizioni di dipendenza anziché da
una sostanza, dal legame compulsivo verso un comportamento, un esperienza o un oggetto. Manca
l’azione diretta da parte di una sostanza sulle strutture cerebrali responsabili del piacere e della
gratificazione, ma come vedremo, anche dal punto di vista biologico il ruolo dopaminergico resta
fondamentale e rilevante, come nelle dipendenze da sostanze.
Griffith (2005) definisce la dipendenza comportamentale sulla base di sei criteri:
1) Preminenza, ovvero il comportamento oggetto di dipendenza tende ad assumere una rilevanza
maggiore nella vita del soggetto a discapito di altri pensieri, sentimenti ed azioni;
2) Influenza sul tono dell’umore,
3) Tolleranza, ovvero aumento del comportamento dipendente per indurre gli effetti iniziali
desiderati;
4) Sintomi da astinenza, stati d’animo o conseguenze somatiche spiacevoli, conseguenti alla messa
in atto del comportamento;
5) Conflitto, conflitti interpersonali, lavorativi, derivati dalla dipendenza;
6) Recidiva, possibilità di ricadute plurime.
È interessante notare come delle pulsioni “normali”, socialmente accettate, come il cibo, il sesso, il
gioco, diventino patologiche nella misura in cui raggiungono un certo livello di eccesso e
pericolosità per il soggetto.
Nelle dipendenze comportamentali, il soggetto sperimenta piacere, spesso il comportamento oggetto
di dipendenza costituisce una via d’uscita dalla sofferenza emotiva, e nonostante le conseguenze
negative che ne derivano, la persona è incapace di far meno a quel comportamento specifico.
Tra le dipendenze comportamentali possiamo osservare: lo shopping compulsivo, il gioco d’azzardo
patologico, la dipendenza affettiva, la dipendenza da lavoro, dipendenza dal sesso, dipendenza dal
cibo, dalla tecnologia.
Neurobiologia delle dipendenze patologiche
L’assunto generale neurobiologico delle dipendenze patologiche si basa sulla capacità che hanno
alcune sostanze di dare gratificazione e motivazione, in virtù dei loro effetti di stimolazione del
sistema cortico-mesolimbico dopaminergico (Spanagel, Weiss, 1999).
Si ritiene, infatti, che le sostanze d’abuso usurpano il circuito di ricompense naturali che di norma
rispondono a rinforzi come il cibo, il sesso etc (Damsma et al., 1992).
I circuiti neuroanatomici coinvolti nella dipendenza, riguardano principalmente il sistema limbico e
la corteccia prefrontale, e in seguito, il sistema neurobiologico implicato nell’attivazione e
nell’inibizione di queste zone che vede come protagonista la dopamina.
“È stato postulato che, il passaggio dal consumo di droghe occasionale alla dipendenza, e il craving
intenso che lo accompagna, sia il risultato di una neuroadattazione all’interno del sistema
dopaminergico mesolitico” (S.M. Anderson, R. C. Pierce, 2005).
Questa teoria si basa sul fatto che tutti gli stimoli, siano essi naturali o farmacologici, che sono
dotati di potere motivazionale positivo, aumentano l’attività neuronale, in particolare quella
dopaminergica, che ha origine nell’area ventrale segmentale (VTA) e proiettano nella zona basale
dello striato fino il nucleo Accumbens e diverse strutture frontali. Questo può avvenire in maniera
diretta o indiretta in base alla sostanza d’abuso.
Ad esempio, gli psicostimolanti come la cocaina, hanno un azione diretta sul circuito di ricaptazione
della dopamina, farmacologicamente la cocaina agisce per inibire la ricaptazione della dopamina,
serotonina e noradrenalina; che nasce nei corpi dopaminergici. Quindi sostanze stimolanti innalzano
i livelli di dopamina attraverso il blocco della sua ricaptazione, e ciò provoca un aumento della
stimolazione recettoriale con conseguenti neuroadattazioni. I derivati dell’oppio, come la morfina,
l’eroina e congeneri, stimolando i recettori oppiodi localizzati nell’area ventrale segmentale,
favorendo la depolarizzazione delle fibre dopaminergiche cortico-meso-limbiche. Numerosi studi,
inoltre, dimostrano che attraverso meccanismi indiretti l’attività dopaminergica è facilitata
dall’etanolo, dai cannabinoidi e da altre sostanze d’abuso.
È stato ormai dimostrato che gli effetti delle sostanze d’abuso possono portare ad una
sensibilizzazione, ovvero gli effetti dopo ripetute somministrazioni della dose possono aumentare.
Questo effetto è stato riscontrato in diversi studi da laboratorio, dando le basi per una nuova teoria
detta “Incentive sensitization”, o tolleranza inversa (Robinson, Berridge, 1993). Secondo questa
teoria la sensibilizzazione è il meccanismo mediante il quale la sostanza acquisisce la capacità di
controllare il comportamento compulsivo di ricerca della sostanza. La sensibilizzazione è associata
anatomicamente ad alcuni circuiti nervosi nel nucleo accumbens e all’aumento dell’attività
dopaminergica in questo nucleo.
Di recente, ricerche scientifiche hanno portato alla luce quadri molto più articolati, secondo cui
l’ipotesi dopaminergica non è sufficiente da sola a spiegare la tossicodipendenza in tutti i suoi
aspetti.
È stato dimostrato che alcune sostanze hanno la capacità di condizionare i processi di
apprendimento e di memoria, anche a livello cellulare (Everitt, Robbins, 2005). A tal proposito,
studi hanno evidenziato che queste sostanze d’abuso attuano delle stimolazioni neuronali tali da
riuscire a riscontrare delle risposte elettrofisiologiche di potenziamento o depressione a lungo
termine, meccanismi che entrano in gioco nelle connessioni neuronali, e nei processi di
apprendimento e di memoria.
Oltre a questi cambiamenti, studi di laboratorio hanno evidenziato che nella dipendenza patologica
vi sono delle modificazioni del sistema del fattore di rilascio corticotropo ( CRF). Questo sistema
cerebrale regola le risposte allo stress, e svolge una funzione nella risposta astinenziale, collegata
all’uso di sostanze. In quest’ottica, lo stress ha la funzione di agevolare il passaggio da uso di
droghe a scopo ricreativo, a dipendenza della sostanza (Koob, 2008).
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